Venlafaxina

La venlafaxina, conosciuta con i nomi commerciali EfexorFaxineZarelis, è un farmaco appartenente alla classe degli SNRI(inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina) utilizzato come trattamento di diversi disturbi psichiatrici (depressione maggioreansia generalizzataattacchi di panicofobia sociale) ma anche condizioni non prettamente psichiatriche come neuropatia diabetica, prevenzione dell'emicrania,[1] vampate di calore in donne in menopausa o uomini nell'ambito della terapia del tumore prostatico.[2]
Introdotto sul mercato nel 1993 come trattamento antidepressivo e dei disturbi d'ansia, attualmente non è raccomandato come farmaco di prima linea per via della minore tollerabilità rispetto ad altri antidepressivi nonché dell'aumentato rischio di mortalità e in particolare di suicidio, che può verificarsi soprattutto all'inizio della terapia o nel caso di una sia pur breve sospensione della stessa.[3][4]
Appare strutturalmente e farmacologicamente simile al farmaco antidolorifico oppioide tramadolo.

Farmacologia

Farmacodinamica

Venlafaxina ed il suo principale metabolita, l'O-desmetilvenlafaxina (commercializzato in alcuni stati come antidepressivo a se stante col nome di Pristiq), agiscono sul sistema nervoso centrale come inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina.
La potenza di inibizione dei due trasportatori non è equivalente, dato che mostra una maggiore affinità per il trasportatore della serotonina rispetto a quello della noradrenalina: infatti a dosaggi bassi, fino a 150 mg\giorno, il farmaco agisce quasi esclusivamente come un inibitore della ricaptazione della serotonina (quindi un SSRI), mentre a dosaggi medi, compresi tra i 150-300 mg\giorno, inibisce anche la ricaptazione della noradrenalina. Venlafaxina sembrerebbe inoltre dotata della proprietà di inibire debolmente la captazione della dopamina anche se tale proprietà si evidenzia solo ai dosaggi più elevati, superiori ai 300 mg\giorno. Tale proprietà si crede non sia dovuta ad una azione diretta della venlafaxina sul trasportatore della dopamina (DAT) ma al fatto che nella corteccia frontale parte della dopamina viene ricaptata in realtà dal trasportatore della noradrenalina.[5][6][7]
Le affinità per i singoli trasportatori sono
Sito di legameIC50(nM)
SERT27
NET535
Il farmaco ed il suo metabolita non presentano una affinità significativa per i recettori muscarinici, istaminergici o α 1-adrenergici. Questi sono anche i recettori che si ipotizza di essere associati ai vari effetti anticolinergici, sedativi e cardiovascolari riscontrabili con l'impiego di altri farmaci psicotropi, come i triciclici. Tuttavia sembra influenzare indirettamente l'attività dei recettori oppiodi e α 2-adrenergici e tale attività si ritiene alla base della sua azione antidolorifica e nei confronti di alcuni casi di depressione resistente ad altri trattamenti.[8]

Farmacocinetica

Venlafaxina dopo somministrazione per via orale è ben assorbita dal tratto gastrointestinale. Studi sperimentali hanno evidenziato che circa il 92% di una singola dose viene assorbita dall'organismo. Il cibo non ha alcun effetto significativo sull'assorbimento di venlafaxina. La concentrazione plasmatica massima (Cmax) viene raggiunta nel giro di 2 e 3 ore.
Il farmaco è ampiamente metabolizzato nel fegato e viene trasformata in O-demetilvenlafaxina (ODV), il principale metabolita attivo, dall'isoenzima CYP2D6. Anche ODV è un potente inibitore del reuptake della serotonina-noradrenalina, pertanto le differenze di metabolismo tra metabolizzatori estensivi e poveri del CYP2D6 non risultano clinicamente importanti. Venlafaxina viene anche convertita in N-desmetilvenlafaxina, un metabolita minore e meno attivo, ad opera di CYP3A4. Gli effetti collaterali, tuttavia, sono stati segnalati in misura più grave nei metabolizzatori lenti di CYP2D6.
L'eliminazione per via urinaria rappresenta la principale via di escrezione. Circa l'87% di una dose somministrata si ritrova nelle urine entro 48 ore, sia come molecola non modificata (5%), che come O-demetilvenlafaxina non coniugata (29%) o coniugata (26%), oppure come altri metaboliti inattivi minori (27%).
Venlafaxina si lega alle proteine plasmatiche nella misura di circa il 30% ed il metabolita O-demetilvenlafaxina in misura un poco superiore (30% ± 12%). Lo steady-state viene raggiunto entro 3 giorni di terapia a dosi multiple. Gli effetti terapeutici sono raggiunti generalmente entro 3-4 settimane. Durante la somministrazione cronica in soggetti sani non è stato osservato alcun accumulo di venlafaxina.
L'emivita della venlafaxina è relativamente breve (5 ± 2 ore e 10 ± 2 ore per i metaboliti attivi), per cui i pazienti sono tenuti a rispettare rigorosamente tempi ed intervalli di somministrazione, evitando di dimenticare anche una sola dose. La mancata assunzione di una singola dose può infatti causare sintomi di astinenza.
Nei soggetti con funzionalità renale fortemente compromessa e nei pazienti in emodialisi l'emivita di eliminazione di venlafaxina risulta prolungata soprattutto in conseguenza di una clearance ridotta rispetto ai soggetti normali. In questi soggetti è pertanto necessario adeguare il dosaggio.

Usi clinici

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La venlafaxina è uno degli antidepressivi maggiormente utilizzati, soprattutto laddove gli SSRI dimostrano di non essere efficaci. Tuttavia, a causa di una minore tollerabilità rispetto ad altri antidepressivi e i rischi associati ad alcuni potenzialmente gravi effetti collaterali, non viene generalmente considerata come una opzione di prima linea.
Approvato inizialmente solo nel trattamento della depressione maggiore, ad oggi ha mostrato in diversi studi efficacia anche nel trattamento dei disturbi ansiosi (sia dell'ansia generalizzata che del disturbo d'ansia sociale), nonché nella cura degli attacchi di panico associati o meno ad agorafobia. Numerosi sono ormai i clinici che ricorrono alle prescrizioni off-label di questo farmaco per il trattamento dei dolori cronici e delle neuropatie, come emicrania e neuropatia diabetica.[1]
Una review degli studi pubblicata nel 2012, evidenza come la venlafaxina potrebbe essere più efficace di altri antidepressivi di comune utilizzo come paroxetina e fluoxetina nel trattamento della depressione maggiore,[9] tuttavia meno efficace di bupopione[10] e con una efficacia dose-dipendente.[11] Comuni sono anche le associazioni della venlafaxina con altri antidepressivi per potenziarne l'efficacia terapeutica nei pazienti resistenti al trattamento con altri farmaci: ad esempio degli studi hanno evidenziato la notevole efficacia della combinazione di venlafaxina con la mirtazapina[12] (colloquialmente conosciuta negli Stati Uniti col nome di california rocket-fuel) così come stanno emergendo prove dell'efficacia della combinazione della venlafaxina con l'antipsicotico multimodale aripiprazolo.[13]

Controindicazioni

L'uso della venlafaxina deve tener conto di numerose controindicazioni, che ne sconsigliano l'adozione in caso di svariate patologie organiche. Fra le principali cause di controindicazioni, si possono indicare sinteticamente:
  • l'ipertensione o i disturbi cardiocircolatori
  • i disturbi a carico della tiroide
  • glaucoma ad angolo chiuso (il farmaco può indurre midriasi, quindi il suo impiego in pazienti con glaucoma ad angolo chiuso richiede cautela).
  • la condizione di gravidanza o di allattamento (per il verificarsi, in particolare, della sindrome da sospensione neonatale)
  • la possibilità di sviluppare una sindrome serotoninergica, in particolare in chi assume altri farmaci SNRI o SSRI contemporaneamente.

Effetti collaterali

Nella maggioranza dei casi gli effetti collaterali sono di lieve entità e rientrano nell'ambito della cefalea, dei disturbi gastrointestinali (nausea, disturbi dell'appetito), insonnia, ansia e disfunzioni sessuali. Sono in genere autolimitanti, cioè tendono a presentarsi nei primi giorni di assunzione per poi sparire nel corso delle prime settimane di trattamento. Gli effetti collaterali sulla sfera sessuale tendono invece a comparire nel corso delle prime settimane di trattamento e a persistere nel corso dell'assunzione.
Come accade per la maggior parte degli antidepressivi, l'effetto collaterale più comunemente riscontrato è il calo del desiderio sessuale. Altri disturbi a carico della sessualitàriguardano l'eiaculazione ritardata o l'impossibilità di raggiungere l'orgasmo, ovvero l'anorgasmia nella donna e l'impotenza vera e propria, nell'uomo. Come quanto rilevato per gli SSRI, può accadere che alcuni effetti collaterali, come le disfunzioni sessuali, persistano per un tempo indefinito (anche anni) dopo la sospensione del trattamento, dando origine alla Sindrome post-trattamento.
Venlafaxina per gli effetti sul sistema noradrenergico può indurre aumento dei valori pressori soprattutto quando utilizzata a dosi superiori a 200 mg/die. È stata anche associata ad aumento della frequenza dei battiti cardiaci e ad aritmie cardiache. Inoltre rientra nei farmaci che potenzialmente possono indurre prolungamento dell'intervallo QTc. Durante il trattamento è perciò importante monitorare periodicamente la pressione sanguigna e l'elettrocardiogramma.
Altri effetti collaterali comuni sono:
  • nausea
  • cefalea
  • stipsi
  • Insonnia
  • vertigini
  • secchezza delle fauci
  • apatia
  • diminuzione dell'appetito
  • sogni particolarmente vividi o incubi
  • agitazione
  • disturbi della concentrazione
  • perdita di memoria
  • irritabilità o impulsività
  • sedazione e sonnolenza. Questi effetti richiedono particolare cautela nel trattamento di soggetti che svolgono attività che richiedono attenzione costante.
  • diaforesi. La diaforesi (sudorazione eccessiva) è un evento avverso comune con i farmaci antidepressivi. Questo effetto indesiderato costringe spesso a ridurre il dosaggio dell'antidepressivo oppure ad interrompere la terapia. Nel caso questo non sia possibile è possibile ricorrere alla somministrazione di uno dei seguenti farmaci: benztropina(anticolinergico), ciproeptadina (antagonista di acetilcolina, serotonina istamina), labetalolo (beta agonista) oppure clonidina (diaforesi di origine ipotalamica).
  • aumentato rischio emorragico. Venlafaxina ed altri antidepressivi che inibiscono la ricaptazione della serotonina sono associati ad un aumento del rischio di sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore, uterino e associato ad intervento chirurgico ortopedico. Questo rischio è tanto maggiore quanto più elevata è la capacità di inibizione del farmaco sul reuptake della serotonina. Per quanto riguarda il rischio di sanguinamento del tratto gastrointestinale, il rischio assoluto di ricovero ospedaliero è risultato pari a 1 per 135 pazienti/anno di trattamento per venlafaxina ed altri farmaci con capacità di inibizione intermedia sul reuptake della serotonina. Ulteriori fattori di rischio aggiuntivi sono un'età maggiore di 80 anni e una pregressa emorragia gastrointestinale[14][15]. Il pericolo di incorrere in un episodio emorragico nei pazienti in terapia con antidepressivi attivi sul sistema serotoninergico è favorito dalla co-somministrazione con farmaci già di per sé gastrolesivi quali i FANS e l'acido acetilsalicilico (asa). Il rischio assoluto di ricovero ospedaliero per emorragia gastrointestinale superiore per pazienti per anno di trattamento è stato stimato pari a 1 per 300/anno per gli SSRI inclusa venlafaxina, pari a 1 per 200/anno per SSRi più asa; pari a 1 per 80/anno per SSRI più FANS; pari a 1 per 200/anno per FANS[16].
Meno comuni, ovvero con frequenza al di sotto di 1 caso ogni 100 pazienti trattati, sono altri effetti quali: aritmie cardiache, polmonite interstiziale, aumento del colesterolo, attacchi di panico, confusione, tremori, reazioni allergiche, pancreatitepsicosi, pensieri o azioni di tipo suicida o omicida, allucinazioni.
Venlafaxina è stata associata, raramente, a tossicità epatica ed epatite. È quindi importante monitorare segni e sintomi di possibile disfunzione epatica (ad esempio urine scure, ittero, perdita di appetito e alterazione del colore delle feci).
In alcuni soggetti è possibile la comparsa di rash cutaneo: negli studi clinici l'incidenza di questo effetto avverso ha interessato fino al 3% dei pazienti in terapia con venlafaxina.
Durante il trattamento con venlafaxina si possono presentare convulsioni, pertanto il farmaco non è raccomandato in caso di epilessia non controllata. Nei soggetti con storia clinica di epilessia sotto controllo farmacologico, venlafaxina deve essere somministrata con grande cautela e sospesa alla comparsa di convulsioni. Nei trial clinici l'incidenza di convulsioni nei pazieni in terapia con venlafaxina è stata dello 0,26%.
Venlafaxina così come altri farmaci antidepressivi attivi sul sistema serotoninergico sono stati associati a sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico (ADH). I pazienti a rischio sono soprattutto gli anziani. Ulteriori fattori di rischio sono rappresentati dal trattamento antidiuretico e dalla disidratazione. È perciò opportuno monitorare natremia ed uremia all'inizio del trattamento e dopo 2 settimane eseguendo ulteriori controlli qualora i pazienti manifestino sintomi come debolezza, letargia, cefalea, anoressia, confusione, stipsi ed aumento di peso.

Rischi di suicidio

L'ideazione suicidaria è una componente insita nel disturbo depressivo maggiore e in altre forme patologiche di disturbi del comportamento. Ovviamente il rischio di suicidio rimane alto fino a quando non sono evidenti segni di miglioramento connessi con la terapia farmacologica. È quindi molto importante, in particolare nelle prime settimane di terapia, monitorare segni e sintomi riconducibili all'ideazione di suicidio. Infatti nella fase iniziale del trattamento, quando ancora non è stato raggiunto un controllo ottimale della patologia, e ogni qualvolta viene modificato il dosaggio del farmaco, il rischio di suicidio appare più elevato.
In ogni caso le più recenti ricerche hanno mostrato come la venlafaxina, come anche altri antidepressivi, è associata ad un aumento del rischio di suicidio nelle persone che l'assumono. Ciò ha spinto la Food and Drug Administration (FDA), l'autorità che vigila in campo farmaceutico negli USA, a imporre l'obbligo di indicare direttamente sulla confezione, in evidenza, il possibile rischio di suicidio correlato alla venlafaxina.
Secondo una ricerca finlandese, svolta su un campione di 15000 pazienti, l'aumento del rischio di suicidio sarebbe di 1,6 volte, il più alto differenziale rispetto a tutti gli altri antidepressivi[17]. L'incidenza di comportamenti suicidari sembrerebbe più frequente, rispetto a placebo, nell'intervallo di età compreso fra 18 e 30 anni. Nessuna differenza è stata riscontrata quando il confronto è stato fatto fra inibitori della ricaptazione della serotonina e antidepressivi triciclici. Secondo le analisi svolte dalla FDA, il rischio di suicidio sarebbe ancora più elevato, fino a 5 volte, negli individui di età inferiore a 25 anni, tanto che se ne sconsiglia fortemente l'utilizzo in bambini, adolescenti e anche giovani adulti.

Suicidio ed ideazione di suicidio in pazienti pediatrici

Venlafaxina non è registrata per il trattamento della depressione nei pazienti pediatrici. La depressione è una patologia rara nel bambino (prevalenza 0,5%). Tuttavia aumenta nell'adolescenza (prevalenza 3%) ed è associata ad un rischio suicidario importante[18].
Sulla base dell'analisi di 11 studi clinici in pazienti pediatrici trattati con farmaci che inibiscono la ricaptazione della serotonina per il disturbo depressivo maggiore (MDD), le agenzie regolatorie inglese CSM (Commitee on Safety of Medicines) e americana FDA hanno verificato che ci sono dati clinici di efficacia per fluoxetina e probabilmente per citalopram, ma non per paroxetinasertralina e venlafaxina.
Inoltre l'uso degli inibitori della ricaptazione della serotonina, in questa classe di pazienti, è stata associata ad un aumento di comportamento suicida (ideazione di suicidio, tentativo di suicidio, autolesionismo) rispetto al placebo, in particolare per paroxetina e venlafaxina. Anche citalopram, sertralina e fluoxetina sembrano essere implicati in questo senso. Per la fluvoxamina i dati di letteratura sono invece scarsi e non dirimenti.

Interruzione del trattamento e sindrome d'astinenza

La sospensione del trattamento deve essere graduale. L'interruzione del trattamento con venlafaxina (soprattutto quando improvvisa) comporta frequentemente la comparsa di sintomi da astinenza. I sintomi sono soprattutto gastrointestinali, neurologici e psichiatrici. Le reazioni più comunemente riportate sono: agitazione, anoressia, ansia, nervosismo, stato confusionale, alterazione della coordinazione, capogiro e vertiginisecchezza delle fauci, umore disforico, fascicolazione, fatica, cefalea, ipomania, disturbi del sonno (inclusi insonniaincubi, e sogni vividi), nausea e/o vomitodiarrea, disturbi del sensorio (incluse parestesia e sensazioni simili all'elettroshock), sonnolenza, sudorazione, tremore.
Nella maggior parte dei pazienti i sintomi di astinenza si risolvono in due settimane, ma in alcuni casi si sono prolungati per un periodo di tempo maggiore. In uno studio che ha preso in considerazione l'incidenza di eventi avversi dalla immissione in commercio degli SSRI e della venlafaxina fino al 2000, in Francia, i farmaci più segnalati per sindrome d'astinenza sono stati paroxetina (primo posto) e venlafaxina (secondo posto) (SSRI, OR: 5,05 95% CI 3,81-6,68; paroxetina OR: 8,47 95% CI 5,63-12,645; venlafaxina, OR: 12,16 95% CI 6,17-23,35)[19]. Molti autori ritengono che un fattore predisponente lo scatenamento dei sintomi d'astinenza sia la breve emivita della venlafaxina (e anche della paroxetina).
I sintomi astinenziali si possono verificare al termine della terapia, alla variazione del dosaggio, al passaggio da un tipo di antidepressivo ad un altro oppure quando la dose non viene assunta. Se durante il periodo di sospensione graduale del farmaco compaiono sintomi difficilmente tollerati dal paziente, viene suggerito di aumentare nuovamente la dose, stabilizzare il paziente, e quindi tornare a ridurre il dosaggio con più gradualità rispetto al tentativo precedente.

Interazioni

  • Farmaci anoressizzanti: l'associazione tra venlafaxina e farmaci anoressizzanti assunti per ottenere una riduzione del peso corporeo (ad esempio la fentermina) non è stata oggetto di studio, in particolare non è stata effettuata alcuna valutazione del profilo di efficacia e sicurezza. Pertanto tale associazione non è raccomandata.
  • Warfarin: l'associazione tra l'anticoagulante warfarin e venlafaxina comporta un importante aumento degli effetti anticoagulanti. Si rende così necessario monitorare attentamente l'indice INR.
  • Inibitori delle MAO: Venlafaxina non deve essere assunta in combinazione con inibitori delle mono amino ossidasi (I-MAO), in particolare con I-MAO non selettivi. È necessario lasciar trascorrere almeno 14 giorni fra la fine del trattamento con I-MAO e l'inizio di quello con venlafaxina e almeno una settimana fra la fine del trattamento con venlafaxina e l'inizio di quello con un I-MAO. Se non si osserva questo periodo di "wash-out farmacologico" possono svilupparsi reazioni avverse che comprendono tremoremioclonia, diaforesi, nauseavomito, vampate, capogiroipertermia, manifestazioni simili alla sindrome neurolettica malignaconvulsioni e morte. Il rischio di sviluppare una sindrome serotoninergica è più elevato in caso di I-MAO non selettivi oppure selettivi per la forma A dell'enzima monoaminossidasi (ad esempio moclobemide).
  • FANS: aumentato rischio di sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore. Sia gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) sia i FANS (acido acetilsalicilicoketoprofene ed altri) sono associati ad un certo rischio di gastrolesività e di emorragie del tratto gastrointestinale. L'eventuale associazione farmacologica richiede pertanto cautela. I soggetti a maggior rischio sono rappresentati dai pazienti anziani (età maggiore di 65 anni), con anamnesi positiva per ulcera peptica o per sanguinamento gastrointestinale, pazienti defedati, pazienti già in terapia con anticoagulanti o corticosteroidi.
  • Farmaci con attività serotoninergica: questi agenti (ad esempio oppioidi derivati della fenilpiperidina – petidina, tramadolometadonefentanil – destrometorfanopropossifenebuspirone, triptani, clorfenaminaiperico, blu di metilene) se associati a venlafaxina possono aumentare il rischio di tossicità serotoninica. Si rende perciò necessario monitorare segni e sintomi di tossicità, soprattutto nel periodo iniziale dell'eventuale associazione terapeutica e ogni volta che si rende necessario modificare il dosaggio dei farmaci.

Gravidanza e allattamento

La depressione può arrivare a colpire fino al 20% delle donne in stato di gravidanza e da molti studiosi è stata associata a ritardo di crescita uterina e a basso peso alla nascita. La depressione materna non trattata può inoltre alterare il rapporto madre-neonato per la scarsa capacità genitoriale mostrata dalla madre. È in ogni caso necessario valutare attentamente che i benefici attesi siano superiori ai possibili rischi prima di somministrare venlafaxina in donne in gravidanza. L'esposizione al farmaco durante la gravidanza non sembra determinare un aumento del rischio di malformazioni maggiori rispetto al rischio stimato per la popolazione generale (pari a circa 1-3%).[20] L'esposizione agli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) ed agli inibitori della ricaptazione della serotonina-norepinefrina (SNRI) durante il terzo trimestre di gravidanza può provocare nel neonato la comparsa della sindrome da astinenza. Il corteo sintomatologico di questa sindrome astinenzale comprende: agitazione, irritabilità, ipotonia o ipertonia, iperriflessia, sonnolenza, problemi nella suzione e pianto persistente. Più raramente è possibile si manifestino ipoglicemia, difficoltà respiratoria, anomalie della termoregolazione, convulsioni. Nel caso si sviluppino gravi complicazioni è possibile che i neonati richiedano alimentazione artificiale, supporto respiratorio oppure un prolungato periodo di ospedalizzazione.

Avvertenze

Blefarospasmo tardivo: monitorare movimenti cronici e involontari delle palpebre e dei muscoli orbicolari. La venlafaxina infatti è stata associata a comparsa di blefarospasmo tardivo[21].

Note

  1.  (EN) Dale R. Grothe, Brian Scheckner e Dominick Albano, Treatment of Pain Syndromes with Venlafaxine, in Pharmacotherapy: The Journal of Human Pharmacology and Drug Therapy, vol. 24, nº 5, 1º maggio 2004, pp. 621–629, DOI:10.1592/phco.24.6.621.34748. URL consultato l'11 novembre 2017.
  2. ^ (EN) Christina E Schober e Nicole T Ansani, Venlafaxine Hydrochloride for the Treatment of Hot Flashes, in Annals of Pharmacotherapy, vol. 37, nº 11, 28 giugno 2016, pp. 1703–1707, DOI:10.1345/aph.1c483. URL consultato l'11 novembre 2017.
  3. ^ (EN) Jari Tiihonen, Jouko Lönnqvist e Kristian Wahlbeck, Antidepressants and the Risk of Suicide, Attempted Suicide, and Overall Mortality in a Nationwide Cohort, in Archives of General Psychiatry, vol. 63, nº 12, 1º dicembre 2006, DOI:10.1001/archpsyc.63.12.1358. URL consultato l'11 novembre 2017.
  4. ^ Sheik Hosenbocus e Raj Chahal, SSRIs and SNRIs: A review of the Discontinuation Syndrome in Children and Adolescents, in Journal of the Canadian Academy of Child and Adolescent Psychiatry, vol. 20, nº 1, 2011-2, pp. 60–67. URL consultato l'11 novembre 2017.
  5. ^ (EN) F Bymaster, Comparative Affinity of Duloxetine and Venlafaxine for Serotonin and Norepinephrine Transporters in vitro and in vivo, Human Serotonin Receptor Subtypes, and Other Neuronal Receptors, in Neuropsychopharmacology, vol. 25, nº 6, 1º dicembre 2001, pp. 871–880, DOI:10.1016/s0893-133x(01)00298-6. URL consultato l'11 novembre 2017.
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  7. ^ (EN) J. P. Redrobe, M. Bourin e M. C. Colombel, Dose-dependent noradrenergic and serotonergic properties of venlafaxine in animal models indicative of antidepressant activity, in Psychopharmacology, vol. 138, nº 1, 1º luglio 1998, pp. 1–8, DOI:10.1007/s002130050638. URL consultato l'11 novembre 2017.
  8. ^ (EN) Shaul Schreiber, Avi Bleich e Chaim G. Pick, Venlafaxine and mirtazapine, in Journal of Molecular Neuroscience, vol. 18, 1-2, 1º febbraio 2002, pp. 143–149, DOI:10.1385/JMN:18:1-2:143. URL consultato l'11 novembre 2017.
  9. ^ (EN) Andrea Cipriani, Toshiaki A Furukawa e Georgia Salanti, Comparative efficacy and acceptability of 12 new-generation antidepressants: a multiple-treatments meta-analysis, in The Lancet, vol. 373, nº 9665, 28 febbraio 2009, DOI:10.1016/S0140-6736(09)60046-5. URL consultato l'11 novembre 2017.
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  12. ^ Pierre Blier, Herbert E. Ward e Philippe Tremblay, Combination of Antidepressant Medications From Treatment Initiation for Major Depressive Disorder: A Double-Blind Randomized Study, in American Journal of Psychiatry, vol. 167, nº 3, 1º marzo 2010, pp. 281–288, DOI:10.1176/appi.ajp.2009.09020186. URL consultato l'11 novembre 2017.
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